……di erbe, uccelli e territorio

Nonché pesci, dovrei aggiungere: poiché siamo già al terzo articolo dedicato alle specie ittiche presenti nel Mella e nei nostri corsi d’acqua ma credo che non riuscirò ad esaurirle tutte nemmeno questa volta.

Sanguinerola sanguanì

In dialetto “sanguanì”. Popolava le acque fresche e ben ossigenate di fossi come la Gambaresa, la Serioletta (uso i termini dialettali perché non conosco quelli “ufficiali”) col fondo ghiaioso. Piccolo, delle dimensioni di un’ alborella, finiva pescato quando si asciugava un tratto di torrente alla ricerca dei bos. Mi soffermo un attimo su questi ultimi perché un lettore mi ha fatto presente che il nome italiano del bos non è “scazzone” (come ho scritto la volta scorsa) ma “ghiozzo”. In effetti ho trovato tutt’e due le definizioni su vocabolari dialettali bresciani diversi, per cui lascio a voi la scelta. Il sanguanì aveva una carne amarognola e non squisita come il suo compagno di padella, il bos; ma nel groviglio della frittura quasi non ci si accorgeva dell’identità dell’uno e dell’altro.

Lampreda

Questo pesciolino di pochi centimetri, che richiama la forma dell’anguilla, merita anche una immagine frontale per mostrare l’inquietante aspetto della sua bocca, munita di sottili dentini.

bocca della lampreda

Una bocca che rimane sempre aperta in quanto priva di mandibole. E’ una specie anadroma (cioè che risale dal mare ai fiumi) un tempo presente anche nei fossi. Commestibile? Certo! Mettila insieme coi bos, le aole, i sanguanì, i vaironi e vedrai che te la mangi senza nemmeno accorgertene.

Credevo che la lampreda fosse estinta dalle nostre parti ma un mese fa ho dovuto ricredermi: nella serioletta, asciutta da tempo, ne ho rinvenute tre ancora vive. Immerse nel fango, sopravvivono anche con la sola umidità della terra. Le ho trasferite nella vicina Gambaresa dove immediatamente si sono trovate a proprio agio infiggendosi nella melma del fondo.

Tenca la tinca

E’ un gran bel pesce, abbastanza raro anche un tempo da queste parti. Colore indefinibile, dal verde cupo al salmone a seconda di dove vive. Predilige i corsi fangosi, lenti. Raramente se ne pescava una anche nel Mella: e la cosa faceva notizia. Può arrivare anche a quattro chili di peso ma personalmente ne ho viste solo di pochi etti. La carne è buona ma sa un poco di fango. Bisogna saperla cucinare. Nei paesi rivieraschi del lago d’Iseo sono specialisti in questo: la servono in una terrina, affogata nel burro fuso con in parte la fetta di polenta. Non è un piatto dietetico però, semel in anno…..è lecito.

Scazzone vecio oppure bos

Un po’ come la storia di Bruneri e Canella, non riesco a stabilire se lo scazzone sia il “bos” o il “vecio”. Il ché dimostra la scarsa scientificità dell’articolista. Comunque di “veci” ne ho pescati parecchi anch’io col bilancino nel Mella. Assicuro che non ne ero affatto contento perché, come tutti i pescatori sapevano bene, quando girava il “vecio”, tutto l’altro pesce era fermo. “Ho preso un vecio, possiamo anche andare a casa che per oggi è finita”. Ma la speranza che riprendesse la migrazione di savette o cavedani ci tratteneva ugualmente sulle sponde con la nostra rete quadrata fino a tarda sera.

Il pigo dorada

E’ uno dei tanti ciprinidi, cioè della famiglia delle carpe, che popolavano stagionalmente le nostre acque. Poteva raggiungere il peso di due chilogrammi (ma ne ho visti al massimo di un chilo) e migrava insieme con le savette: anzi qualche sprovveduto lo poteva confondere con queste. In dialetto era chiamato “dorada” forse perché le squame da argenteo-verdastre sulla schiena, diventavano gialle, quasi color oro, sui fianchi. Di carne pregiata ma fitta di lische, costituiva comunque un buon piatto. Qui non ce n’è più neppure l’ombra, così come le stesse savette, ma se ne trovano ancora in alcuni fiumi dell’Emilia e nel lago di Como dove li seccano, salano e conservano in barili.

Carpa càrpena

Era un oggetto del desiderio per i pescatori. Un tempo rara, viveva nei punti più profondi del Mella. Lenta, grande, forte. Ed anche abbastanza buona al forno, con poche lische e carne consistente e sostanziosa. Nei laghi può raggiungere i 40 chili, qui no: nel nostro fiume ne ho vista una di circa 5 chili, pescata con una rete dal fornaio Dante Pilenghi insieme con Rino Lupi sessant’anni fa. Penso sia stato quasi un record da queste parti. La carpa è il ciprinide per eccellenza. Nel Mella, a quanto mi risulta, ve n’erano di due tipi: la carpa comune e la carpa a specchio che chiamavamo “carpiù”.

Carpa specchio carpiù

Anche adesso, nonostante il grave inquinamento del nostro fiume, le carpe riescono ugualmente a sopravvivere. Qualche anno fa, però, al sollevamento vicino alla cascina Gerella ne ho viste a decine morte che galleggiavano sull’acqua putrida. Ma penso e spero che ve ne siano ancora. Un terzo tipo di carpa, erbivora, venne introdotta il secolo scorso nei nostri fiumi, nell’intento di tenere puliti i fondali dalle alghe: è la carpa Amur, originaria del fiume asiatico da cui prende il nome.

Devo però smentire chi crede che il Mella di sessant’anni addietro fosse l’Eden. Già iniziavano le prime avvisaglie di quanto sarebbe accaduto in seguito. Anche allora si verificavano periodici inquinamenti industriali e non. A volte l’acqua si tingeva di sostanze coloranti e cadaveri di pesci a galla scendevano lungo la corrente. Spesso, incagliati fra i cespugli delle sponde, marcivano polli morti, vitelli e perfino maiali gettati in acqua da qualche fattoria o allevamento a monte. Con relativa proliferazione di topi sugli argini.

Per mancanza di spazio concludo qui l’articolo ma l’elencazione dei nostri pesci non è terminata. Perciò ne ho riservata una mezza dozzina per il prossimo articolo.

O.B.

Categorie: fauna

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